La AIPTO giovani presso l’Università degli Studi di Pavia!
Continuano le iniziative di AIPTO, attiva e propositiva anche con i suoi soci più giovani, che costituiranno il futuro della professione e dell’associazione stessa. La formazione e l’aggiornamento sono uno degli obiettivi fondamentali di una società scientifica.
La professione del Tecnico Ortopedico è, in buona parte, molto pratica: bisogna seguire al meglio questo aspetto, sin da subito!
Riportiamo di seguito un’intervista alla responsabile del CdL in Tecniche Ortopediche presso l’Università degli Studi di Pavia, la prof.ssa Luisella Pedrotti.
Prof.ssa Pedrotti, ci delinea il Suo curriculum professionale?
“Ho conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia, la specialità in Ortopedia e Traumatologia e concluso il master di II livello in Malattie metaboliche dell’osso, iniziando a lavorare dapprima presso l’Ospedale S. Matteo di Pavia; ho svolto inoltre attività di consulente ortopedico presso altre strutture del territorio. Ho collaborato col Gruppo di studio multidisciplinare per l’idrocefalo e la spina bifida di Pavia dal 1991 al 2016. Consulente, inoltre, della Fondazione Maugeri di Montescano fino all’aprile 2013 e dell’Istituto Neurologico Mondino di Pavia.
“Attualmente sono Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze clinico chirurgiche, diagnostiche e pediatriche dell’Università di Pavia. Svolgo attività di didattica in numerosi corsi di laurea, produzione scientifica e di tutorato degli studenti e degli specializzandi. Sono responsabile del Corso di Laurea in Tecniche ortopediche che ha sede a Pavia e questo mi fa particolarmente piacere perché i corsi di studi per tecnici ortopedici non sono molti: in tutta Italia non sono più di una decina. Non in tutte le università è prevista questa laurea triennale. Viceversa, la ritengo importante perché ha lo scopo di formare una figura professionale che per noi ortopedici è indispensabile, quella del tecnico costruttore di ortesi, della cui collaborazione noi ci avvaliamo quotidianamente. Mi fa piacere, quindi, partecipare alla formazione di questa figura.
Dal 1997 svolgo attività clinica in convenzione con l’Istituto Città di Pavia, facente capo al Gruppo San Donato. Tra i miei collaboratori sono presenti anche altre due donne: svolgiamo attività ambulatoriale giornaliera e di sala operatoria quattro giorni a settimana. Di questa unità operativa fanno parte, a rotazione, gli specializzandi di ortopedia, fisiatria e di medicina dello sport.
Anche io, come tanti colleghi, ho trascorso periodi di formazione all’estero e un periodo di volontariato in Africa, in Zambia. Faccio parte di alcune associazioni a livello direttivo e quest’anno anche del consiglio direttivo della SITOP, Società italiana di Ortopedia e Traumatologia Pediatrica”.
Come è nata la sua passione per la medicina?
“Le nostre scelte sono spesso influenzate da tradizioni familiari, esperienze o situazioni che in qualche modo ci condizionano. Nel mio caso non c’è stato alcun parente stretto medico di cui seguire l’esempio o le orme. Volendo trovare un momento iniziale in cui ho pensato a questa facoltà, direi che coincise con un’esperienza negativa legata al ricovero di una persona a me molto cara. L’organizzazione ospedaliera era molto diversa da quella attuale: traumatica, la definirei così, per un bambino che non poteva rimanere accanto alla mamma; allora, con la presunzione dei giovani, ho pensato di poter cambiare quella realtà diventando medico e contribuendo a rendere più umana l’esperienza ospedaliera. Ciò che, di fatto, è avvenuto, non per merito mio, ma grazie all’evoluzione anche dell’aspetto ricettivo dell’assistenza sanitaria. Al tempo non avevo idea del tipo di specialità che avrei scelto, ma era chiaro che mi sarei dedicata all’attività ospedaliera.”
L’Ortopedia è l’unica specialità chirurgica il cui il numero delle donne è ancora molto basso rispetto alle altre specialità. Il numero delle figure apicali oggi in Italia, è ancora più esiguo. Quali sono i motivi di tale disparità oggi?
“Da sempre il ruolo delle donne in medicina, è maggiormente rappresentato in ambito clinico, più che chirurgico. L’ortopedia in particolare è considerata da tutti una chirurgia pesante e quindi eccessivamente impegnativa per una donna. In realtà si tratta di un concetto fuorviante: se pensiamo all’aspetto fisico, in vari Paesi, molti lavori pesanti sono affidati alle donne per cui, perché non affidare alle donne anche questo? E riguardo l’aspetto psicologico è dimostrato che ruoli e posizioni di vertice possono essere tranquillamente occupati da mogli e da madri. Basti pensare alle forze armate o ai settori dell’industria, dell’economia e altro. Gli esempi sono tanti. Direi, quindi, che le motivazioni sono storiche, sociali, culturali e contingenti, perché se una donna intende conseguire determinati obiettivi deve necessariamente impegnarsi più di un uomo e deve compiere delle scelte e fare rinunce. Non raramente, si rinuncia ad avere una famiglia. C’è chi sceglie di vivere così. Per chi, invece, ha una famiglia, è necessario avere il supporto del partner. Più difficile, invece, avere la comprensione dei figli.
Io, anni fa, ho dedicato ai miei figli una dispensa delle mie lezioni, mettendo la loro foto in copertina e questo sempre per tacitare quel famoso senso di colpa che noi, donne lavoratrici e ortopediche in particolare, abbiamo”.
Quale impatto negativo pensa possa avere il fatto che ci sia un numero esiguo di donne?
“Non è piacevole ed è una cosa a cui dobbiamo cercare di porre rimedio. Credo che non abbia un impatto negativo, ma che debba essere di stimolo per migliorare. Non c’è una ragione precisa per cui dobbiamo essere meno rappresentate. È un dato di fatto e bisogna lavorarci”.
Gli articoli pubblicati negli ultimi anni hanno mostrato come il mentoring sia un elemento di sostegno per la carriera e la crescita professionale di un chirurgo. Chi sono stati i suoi mentori? Crede che abbiano avuto un ruolo nel raggiungimento dei suoi obiettivi?
“Sono entrata in clinica universitaria a Pavia per l’internato semplice, quindi molto presto, e vi sono rimasta a lungo. La scuola era allora diretta dal professor Mario Boni. Direi che tutti gli Aiuti che, di volta in volta, hanno raggiunto delle posizioni apicali, possono essere considerati miei maestri. Alcuni più di altri hanno rappresentato un modello e mi hanno aiutata. Erano tutti uomini, tant’è che a volte mi chiedo fino a che punto abbiano influenzato il modo di ragionare e anche l’approccio all’attività lavorativa”.
Qual è l’insegnamento che le hanno trasmesso?
“A lavorare tanto e onestamente per tutti i pazienti”.
In termini di leadership crede che esista una differenza nell’ambiente di lavoro?
“Sì, esiste e potrei aggiungere una cosa. Io non credo di poter rappresentare in modello ideale perché sono sempre stata abituata a lavorare molto in prima persona, nella convinzione che l’esempio fosse la cosa più importante. Questo comporta una certa difficoltà a delegare e per questo le dico che non mi ritengo un modello.
Le conseguenze di quando non si delega sono ovvie”.
La percentuale delle donne nelle società scientifiche in Ortopedia non supera a livello internazionale il 10%. Quanto ritiene importante per la crescita di una professionista la partecipazione alla vita delle società scientifiche e che benefici può avere questo fattore per il professionista e per la società?
“La partecipazione alla vita delle società scientifiche è sicuramente importante e gratificante perché non basta lavorare sul campo, ma bisogna studiare e confrontarsi e ciò si ottiene facendo parte di una società scientifica. Ma questo, per una donna, può essere incompatibile con le esigenze di lavoro e con quelle di natura familiare. Insomma, la coperta è corta. Ci si trova a dover scegliere o, quanto meno, a trovare dei compromessi.
Nell’ambito di una società scientifica, la presenza delle donne può rappresentare un fattore di equilibrio, ne sono convinta. E, allo stesso tempo, consente di affrontare i problemi con un approccio più pratico rispetto a quello che hanno gli uomini. Le donne hanno un pizzico di senso pratico in più che, a volte, si dimostra molto utile nell’affrontare e nel risolvere determinati problemi”.
La SIOT per la prima volta nella sua storia ha fondato una commissione per le parti opportunità per analizzare questa situazione. L’obiettivo è svincolare la discussione da una lotta di genere verso una alleanza per una finalità comune. Ritiene utile la presenza di queste iniziative e la nascita di network di professioniste come la WOW (Women in Orthopaedic Worldwide) a livello nazionale e internazionale?
“L’istituzione di queste commissioni è sicuramente utile. È un processo di cambiamento che è iniziato tempo fa in numerosi ambiti. Le Commissioni Pari Opportunità esistono da decenni e hanno appunto lo scopo di realizzare iniziative di qualsiasi genere per eliminare le disparità che le donne incontrano nel mondo del lavoro. La finalità primaria è questa. In realtà, prima della carriera che è lo scopo finale, bisognerebbe parlare di parità dei diritti umani e quindi fare un passo indietro. Tralasciando situazioni estreme, come quelle presenti in numerosi Paesi dell’Africa e dell’Asia, gioverebbe ricordare che la Svizzera, la civilissima ed evoluta Svizzera, concesse alle donne il diritto di voto e di eleggibilità a livello federale solo nel 1971. Parliamo, quindi, di diritti umani. Se estendiamo questo concetto alla quotidianità, scopriamo che le donne in Arabia Saudita hanno ottenuto il permesso di guida nel 2018.
Le Commissioni Pari Opportunità sono fondamentali. Siamo consapevoli che resti moltissimo da fare nel campo della progressione di carriera, e in quello della parità di reddito, che non sono così scontate: in alcuni settori si tratta di un dato acquisito, in altri purtroppo non ancora. Allo stesso modo, è importante cercare di migliorare anche nell’ambito della considerazione sociale (c.d. status). Queste Istituzioni hanno lo scopo di valorizzare il lavoro e l’impiego di ciascuna, al fine di consentire il raggiungimento di tali obiettivi.
Cosa direbbe ad una giovane professionista che inizia la sua carriera in questo panorama?
“Ho un episodio da raccontare e si riferisce a qualcosa che mi successe tanti anni fa: un giorno una paziente mi chiese di parlare con la figlia per aiutarla a orientarsi nella scelta da compiere dopo il liceo. Io francamente ero molto in imbarazzo, non sapevo cosa consigliare; l’ho incontrata a casa mia, in ambito personale, ho lasciato fuori l’attività lavorativa e le ho semplicemente raccontato come si svolgeva la mia giornata. Dopo la maturità, la ragazza si è iscritta a Medicina e da tempo lavora come ortopedico. È stato un grosso successo. Conta essere onesti nell’illustrare la realtà, conta l’esempio.”
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